Malattia

0. Una malattia ɛ una kondizzjone di skarto tra organiʃmo e immàᵹine socale.

0.1. Ke siŋŋìfika?.

0.1.1. Siŋŋìfika ke la malattia ɛ una kondizzjone korpɔ̀rea che devia dalle aspettative ke la socetà a su cɔ ke ɛ̀ un kɔrpo sano, normale: la socetà si aspɛtta ke una persona presa a kaʃo ci veda, ci sɛnta e cammini bɛne. Se una persona non ɛ konforme a quest’attesa – indipendentemente ke sia una kondizzjone momentànea o permanɛnte, conᵹɛ̀nita o akkʋisita, correᵹᵹìbile o incoreᵹᵹìbile, dolorosa o accɛtta – allora kʋella persona ɛ malata.

0.2. Perkè non una kondizjone korpɔ̀rea di deluʃjone dell’attesa socale?.

0.3. Perkè non una disfunzjonalità dell’organiʃmo?.

0.3.1. Perkè allora anke l’invekkjamento e la menopàuʃa sarɛbbero malattie. Non lo sono· perkè sono konsìderate normali dalla socetà· e kʋesto prɔva ke la malattia ɛ determinata dall’immàᵹine socale e non dal korrɛtto funzjonamento dell’organiʃmo. Se invɛce la socetà li konsiderasse dej fenɔ̀meni inaspettati («Una donna di 70 anni non dovrɛbbe ɛ̀ssere in menopàuʃa ne mostrare seŋŋi d’invekkjamento») sarɛ̀bbero allora malattie.

0.4. Kʋindi se la socetà konsiderasse normale ɛ̀ssere cɛki· la cecità non sarɛbbe una malattia?.

0.4.1. Ᵹa, e non solo: se ɛ̀ssere vedɛnti deludesse le aspettative della socetà (ad eʃɛmpjo perkè fa percepire kɔse illuʃɔrje o fʋorvianti)· vedere sarɛbbe una malattia.

0.5. Kʋindi ɛ̀ssere alti 5 pjɛdi in un paeʃe in kui tutti sono alti 7 pjɛdi ɛ una malattia?.

0.5.1. Non necessarjamente: se non si da socalmente importanza all’altezza· non ɛ una malattia; lo ɛ invɛce se ɛ̀ssere alti 5 pjɛdi delude le aspettative socali (ad eʃɛmpjo se le aʋto sono proᵹettate soltanto per gʋidatori alti 7 pjɛdi e i sedili non si pɔ̀ssono regolare).

0.6. Se la malattia ɛ definita socalmente· un animale infɛtto in un mondo privo di socetà ɛ malato?.

1. Il kontrarjo della malattia ɛ la sanità.

2. Le malattie sono portɛnti.

2.1. Ke siŋŋìfika?.

2.1.1. Siŋŋìfika ke oŋŋi malattia va divinata: ɛ opportuno, specalmente per il malato, comprɛ̀nderla soggettivamente. Non perkè kʋesto konsɛnta di kapirne la kaʋʃa o di kurarla, ma perkè la malattia, kon tutta la sua evidɛnza, diventerà koʃì un mɔ̀nito ɛ̀tico.

2.2. Non ɛ mɛļļo limitarsi a considerare le malattie oᵹᵹettivamente?, dato ke non sono altro da cɔ ke sono.

2.2.1. No, perkè sarɛbbe una grande okkaʃjone pɛrsa per entrare in rappɔrto kon sè stessi: il male c’ɛ, ᵹa ke c’ɛ sɛrva almeno a kʋalkɔsa di bʋɔno.
2.2.2. No, perkè divinando la malattia la si rɛnde pju sopportàbile, avɛ̀ndola kompresa soᵹᵹettivamemte.
2.2.3. No, perkè si riskjerɛbbe di incolpare la sfortuna o di lamentarsi.
2.2.4. No, perkè si riskjerɛbbe di sfogare il biʃoŋŋo di komprensjone in pràtike superstizzjose e aljenanti.

2.3. Non ɛ mɛļļo konsiderarle punizzjoni anzikè mɔ̀niti?.

2.3.1. No, perkè si stimmatiʒʒerɛbbe inopportunamente il malato.
2.3.2. No, perkè non c’ɛ bɛn pɔko di oᵹᵹettivamente edukativo nella malattia: ɛ un’esperjɛnza intɛnsa ma pɔ̀vera di sɛnso; per kʋesto ɛ opportuno diviniʒʒarla.
2.3.3. Ɛ bàrbara l’opinjone che il mondo ci puniska; ɛ invɛce umana l’opinjone che dobbjamo trarre il mɛļļo da cɔ ke ci akkade.

2.4. Se trattjamo le malattie da portenti· non riskjamo pɔj di kurarle meno?.

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Aʋtori

  • 「V. C.」, barone
  • 「Giuliana Madonia」, siŋŋora
  • 「Lorenzo Pauluzzo」, barone

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